Particolato Atmosferico

In chimica ambientale particolatoparticolato sospesopulviscolo atmosfericopolveri finipolveri totali sospese (PTS), sono termini che identificano l’insieme delle sostanze sospese in aria sotto forma di aerosol atmosferico che hanno dimensioni che variano da pochi nm a 100 µm. Il PM10 e il PM2,5 sono definiti come il materiale particolato avente un diametro aerodinamico medio inferiore, rispettivamente, a 10 µm e 2,5 µmQuindi il PM2,5 è una frazione del particolato totale interamente contenuta nella frazione di PM10 (fibre, particelle carboniose, metalli, silice, inquinanti liquidi o solidi), presenti nell’atmosfera terrestre per cause naturali e antropiche o in luoghi di lavoro industriali.

Il particolato è l’inquinante che oggi è considerato di maggiore impatto nelle aree urbane, ed è composto da tutte quelle particelle solide e liquide disperse nell’atmosfera, con un diametro che va da pochi nanometri fino ai 500 µm e oltre (cioè da miliardesimi di metro a mezzo millimetro) (es. particolato carbonioso).

Le fonti del particolato atmosferico si dividono in fonti primarie e fonti secondarie.

    • Con le prime si indica una emissione diretta di materiale particolato in atmosfera e si tiene conto delle fonti naturali (costituite da sale marino, azione del vento, pollini, eruzioni vulcaniche, ecc.) e delle fonti antropiche (traffico, riscaldamento, processi industriali, inceneritori, ecc.).
  • Le fonti secondarie riguardano, invece, da una parte la condensazione di molecole presenti in fase gassosa, la successiva nucleazione e infine la coagulazione fino a formare aerosol con diametri compresi tra 0,1 µm e 1 µm; dall’altra parte ha un grandissimo peso la reattività chimica a partire dal particolato di origine primaria.

    Gli elementi che concorrono alla formazione di questi aggregati sospesi nell’aria sono numerosi e comprendono fattori sia naturali che antropici (ovvero causati dall’uomo), con diversa pericolosità a seconda dei casi.

    Fra i fattori naturali vi sono ad esempio:

    • polvere, terra, sale marino alzati dal vento (il cosiddetto “aerosol marino”);
    • incendi;
    • microrganismi;
    • pollini e spore;
    • erosione di rocce;
    • eruzioni vulcaniche.

    Fra i fattori antropici si include gran parte degli inquinanti atmosferici:

    • emissioni della combustione dei motori a combustione interna (autocarri, automobili, aeroplani, navi);
    • emissioni del riscaldamento domestico (in particolare gasolio, carbone e legna);
    • residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture;
    • emissioni di lavorazioni meccaniche, dei cementifici, dei cantieri;
    • lavorazioni agricole;
    • inceneritori e centrali elettriche;
    • fumo di tabacco.

    Il rapporto fra fattori naturali ed antropici è molto differente a seconda dei luoghi. È stato stimato che in generale le sorgenti naturali contribuiscono per il 94% del totale lasciando al fattore umano meno del 10%. Tuttavia queste proporzioni cambiano notevolmente nelle aree urbane dove l’apporto preponderante sono senza dubbio il traffico stradale e il riscaldamento domestico (ma quest’ultimo molto poco se si utilizzano caldaie a gas), nonché eventuali impianti industriali (raffinerie, cementifici, centrali termoelettriche, inceneritori ecc.) a costituire.

    Altro aspetto riguarda la composizione di queste polveri. In genere, il particolato prodotto da processi di combustione, siano essi di origine naturale (incendi) o antropica (motori, riscaldamento, legna da ardere, industrie, centrali elettriche, ecc.), è caratterizzato dalla presenza preponderante di carbonio e sottoprodotti della combustione; si definisce pertanto “particolato carbonioso”. Esso è considerato, in linea di massima e con le dovute eccezioni, più nocivo nel caso in cui sia prodotto dalla combustione di materiali organici particolari quali ad esempio le plastiche, perché può trasportare facilmente sostanze tossiche che residuano da tale genere di combustione (composti organici volatili, diossine, ecc.).

    Per quanto riguarda i particolati “naturali”, molto dipende dalla loro natura, in quanto si va da particolati aggressivi per le infrastrutture quale l’aerosol marino (fenomeni di corrosione e danni a strutture cementizie), a particolati nocivi come terra o pollini, per finire con particolati estremamente nocivi come l’asbesto.

    Un’altra fonte sono le ceneri vulcaniche disperse nell’ambiente dalle eruzioni che sono spesso all’origine di problemi respiratori nelle zone particolarmente esposte e molto raramente possono addirittura raggiungere quantità tali che, proiettate a una quota, possono rimanere nell’alta atmosfera per anni e sono in grado di modificare radicalmente il clima.

    Composizione chimica

    Per quanto riguarda la composizione chimica del materiale particolato, è possibile individuare tre classi principali:

    • gli ioni inorganicisolfati, nitratiammonio;
    • la frazione carboniosa (TC) formata dal carbonio organico e dal carbonio elementare;
    • il materiale crostale che può presentarsi o associato al pulviscolo atmosferico (Si, Ca, Al…) o a elementi in traccia (Pb, Zn…)
    • una frazione non meglio identificata che spesso corrisponde all’acqua ma non solo.

    Queste componenti, che insieme costituiscono il materiale particolato, presentano dimensioni diverse e quindi contribuiscono in maniera differente al PM2,5 o al PM10.

    Velocità di deposizione

    Procedendo con lo studio del particolato atmosferico, è importante osservare che le particelle sono caratterizzate da una velocità di deposizione al suolo che varia con le dimensioni. La curva della velocità è caratterizzata da due fattori: la deposizione per gravità, che riguarda le particelle più massive, e la deposizione per diffusione, che riguarda le particelle più piccole. In particolare quest’ultima modalità non è da considerare come una diffusione molecolare, perché altrimenti i movimenti verso l’alto compenserebbero esattamente quelli verso il basso. La differenza principale è che la gravità ha ancora un effetto di trascinamento netto verso il basso, effetto che risulta maggiore sulle particelle soggette alla diffusione rispetto a quelle relativamente ferme. Inoltre lo strato limite planetario costituisce una barriera oltre la quale risulta difficile che le particelle riescano a penetrare e quindi la diffusione netta risulta squilibrata verso il basso. In corrispondenza di un diametro compreso tra 0,3-0,4 µm c’è il minimo della velocità di deposizione, dovuto al fatto che in tale regione entrambi gli effetti della diffusione e della caduta per gravità non sono ancora importanti.

    Classificazione qualitativa

    In base alle dimensioni ed alla natura delle particelle si possono elencare le seguenti classi qualitative di particolato:

    • Aerosol: particelle liquide o solide sospese di diametro minore di 1 µm; sono dispersioni di tipo colloidale, che causano, ad esempio, all’alba e al tramonto, l’effetto Tyndall, facendo virare il colore della luce solare verso l’arancione.
    • Esalazioni: particelle solide di diametro < 1 µm, in genere prodotte da processi industriali.
    • Foschie: goccioline di liquido di diametro < 2 µm.
    • Fumi: particelle solide disperse di diametro < 2 µm, trasportate da prodotti della combustione.
    • Polveri: particelle solide di diametro variabile tra 0,25 e 500 µm.
    • Sabbie: particelle solide di diametro > 500 µm.

    Identificazione e misura quantitativa

    La quantità totale di polveri sospese è in genere misurata in maniera quantitativa (peso / volume). In assenza di inquinanti atmosferici particolari, il pulviscolo contenuto nell’aria raggiunge concentrazioni diverse (mg/m³) nei diversi ambienti, generalmente è minimo in zone di alta montagna, e aumenta spostandosi dalla campagna alla città, alle aree industriali.

    L’insieme delle polveri totali sospese (PTS) può essere scomposto a seconda della distribuzione delle dimensioni delle particelle. Le particelle sospese possono essere campionate mediante filtri di determinate dimensioni, analizzate quantitativamente ed identificate in base al loro massimo diametro aerodinamico equivalente (dae). Tenuto conto che il particolato è in realtà costituito da particelle di diversa densità e forma, il dae permette di uniformare e caratterizzare univocamente il comportamento aerodinamico delle particelle rapportando il diametro di queste col diametro di una particella sferica avente densità unitaria (1 g/cm³) e medesimo comportamento aerodinamico (in particolare velocità di sedimentazione e capacità di diffondere entro filtri di determinate dimensioni) nelle stesse condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa.

    Si utilizza un identificativo formale delle dimensioni, il Particulate Matter, abbreviato in PM, seguito dal diametro aerodinamico massimo delle particelle.
    Ad esempio si parla di PM10 per tutte le particelle con diametro inferiore a 10 µm, pertanto il PM2,5 è un sottoinsieme del PM10, che a sua volta è un sottoinsieme del particolato grossolano ecc.

    Penetrazione delle polveri nell’apparato respiratorio.

    In particolare:

    • Particolato grossolano – particolato sedimentabile di dimensioni superiori ai 10 µm, non in grado di penetrare nel tratto respiratorio superando la laringe, se non in piccola parte.
    • PM10 – particolato formato da particelle inferiori a 10 µm (cioè inferiori a un centesimo di millimetro), è una polvere inalabile, ovvero in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore (naso e laringe). Le particelle fra circa 5 e 2,5 µm si depositano prima dei bronchioli.
    • PM2,5 – particolato fine con diametro inferiore a 2,5 µm (un quarto di centesimo di millimetro), è una polvere toracica, cioè in grado di penetrare profondamente nei polmoni, specie durante la respirazione dalla bocca.

    Per dimensioni ancora inferiori (particolato ultrafine, UFP o UP) si parla di polvere respirabile, cioè in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli; vi sono discordanze tra le fonti per quanto riguarda la loro definizione, per quanto sia più comune e accettata la definizione di UFP come PM0,1 piuttosto che come PM1 (di cui comunque sono un sottoinsieme):

    • PM1, con diametro inferiore a 1 µm
    • PM0,1, con diametro inferiore a 0,1 µm
    • nanopolveri, con diametro dell’ordine di grandezza dei nanometri (un nanometro sarebbe PM0,001).